Si fa per ridere

Invito all’Opera

Ben tornati, immagino numerosi, nonostante le farneticazioni della mia collega. Forse qualcuno si augura che risponda alle domande scellerate di quella semi analfabeta musicale che mi affianca in questa bella rubrica, per fortuna a distanza di sicurezza. Sul fatto che si sia addormentata ascoltando la stupenda melodia di Rossini dell’altra volta, non mi meraviglio: è comprensibile per chi come lei ascolta robaccia, in cui il frastuono viene scambiato per musica. Quanto all’uso della candela, ce l’avrei un’idea ma sono un signore perciò eviterò di scendere nei dettagli. Questa settimana, per far contenta la collega, vi presento un’opera più famosa: la Turandot di Giacomo Puccini. Mi auguro che sappia chi sia.

La Turandot è un’opera in 3 atti e 5 quadri. Mi scuso con i nostri lettori, ma devo spiegare alla collega cosa sono i quadri, se no pensa che Puccini oltre che musicista fosse anche un pittore. Nel lessico teatrale, il termine quadro è utilizzato per indicare ciascuna delle parti in cui può dividersi un atto, con cambiamenti di scenografia e di personaggi. Su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, l’opera è stata lasciata incompiuta da Puccini e successivamente completata da Franco Alfano, uno dei suoi allievi.

ATTO PRIMO

Un mandarino (spero che la collega non pensi al frutto) annuncia pubblicamente un editto: Turandot, figlia dell’Imperatore, sposerà il pretendente di sangue reale che abbia svelato tre difficili indovinelli da lei stessa proposti; colui però che non riuscirà a  risolverli, sarà decapitato. Il principe di Persia, ultimo dei tanti sfortunati pretendenti, ha fallito la prova e sarà giustiziato al sorger della luna. All’annuncio, tra la folla impaziente di assistere all’esecuzione, è presente il vecchio Timur che, nella confusione, cade a terra e Liù, la sua fedele schiava, chiede aiuto. Un giovane di nome Calaf corre ad aiutare il vecchio e  riconosce nell’anziano uomo suo padre, re tartaro spodestato. I due si abbracciano commossi e il giovane Calaf prega il padre e la devota schiava Liù di non pronunciare il suo nome per paura dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel frattempo, mentre il boia affila la lama preparandola per l’esecuzione, la folla continua ad agitarsi. Al sorgere della luna, entra il corteo che accompagna la vittima. Alla vista del giovane principe, la folla, dapprima eccitata, si commuove per la giovane età della vittima, e chiede per lui la grazia. Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l’ordine al boia di giustiziare il Principe. Calaf, che prima l’aveva maledetta per la sua crudeltà, è ora turbato dalla regale bellezza di Turandot, e decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù tentano di dissuaderlo, ma lui si lancia verso il gong dell’atrio del palazzo imperiale. Tre figure lo fermano: sono Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che tentano di convincerlo a lasciar perdere, manifestando l’insensatezza dell’azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot. Turandot appare quindi sulla loggia imperiale del palazzo e accetta la sfida.

ATTO SECONDO

È notte. Ping, Pong e Pang si dolgono di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad assistere alle troppe esecuzioni delle sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna. Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. C’è una lunga scalinata in cima alla quale si trova il trono in oro e pietre preziose dell’imperatore. Ci sono i sapienti, i quali custodiscono le soluzioni degli enigmi, poi ci sono il popolo, il Principe ignoto e i tre ministri. Ci sono anche Liù e Timur. L’imperatore invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest’ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare la prova, ripetendo l’editto imperiale, mentre entra in scena Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti. Ma Calaf riesce a risolvere uno dopo l’altro gli enigmi e la principessa, disperata e incredula, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l’imperatore la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo avverte che in questo modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d’odio. Calaf la scioglie allora dal giuramento, proponendole a sua volta una sfida: se la principessa, prima dell’alba, riuscirà a scoprire il suo nome, egli le regalerà la sua vita. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un’ultima volta, solenne, l’inno imperiale. Vedete la bellezza della trama? La collega sicuramente è ancora a Ping, Pong e Pang cercando di distinguerli.

ATTO TERZO

È notte. Si sentono da lontano gli araldi che annunciano l’ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire a Pechino, il nome del principe ignoto deve essere scoperto a ogni costo, pena la morte. Calaf intanto è sveglio, convinto di vincere e sognando le labbra di Turandot, finalmente libera dall’odio e dall’indifferenza. Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il suo nome. Ma il principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. Pur torturata continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l’amore a darle questa forza. Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna subito ad essere l’algida principessa di sempre e ordina ai tre ministri di scoprire a tutti i costi il nome del principe ignoto. Liù, sapendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, strappa di sorpresa un pugnale ad una guardia e si trafigge a morte, cadendo esanime ai piedi di un sconvolto Calaf. Il corpo senza vita di Liù viene portato via accompagnato dalla folla che prega. Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa in un primo momento lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui la prima volta che l’aveva visto, e di essere ormai travolta dalla passione. Tuttavia ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur. Turandot, saputo il nome, potrà perderlo, se vuole. Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, è riunita dinanzi al trono imperiale una grande folla. Squillano le trombe. Turandot dichiara pubblicamente di conoscere il nome dello straniero: «il suo nome è Amore». Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf. Stupenda, meravigliosa,  che storia commovente! Storie così non le inventa più nessuno. Vi lascio a Nessun dorma, esclusa la collega che se dorme evita di dire stupidate.

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Ma lo sai che quando riassumi le opere sei ancora più noioso dell’opera stessa? Se questo è il riassunto, chissà cosa dev’essere sorbirsi tutto lo spettacolo. Eravamo partiti bene, con una bella testa tagliata: uno in meno che canta ho pensato. Poi la schiava che si pugnala, e via un’altra. Ma era troppo bello per essere vero. Speravo in un po’ di brio con i tre ministri, Qui Quo e Qua, invece noiosissimi anche loro. Certo che era un po’ nervosetta Turandot: se non ti vuoi sposare basta che lo dici, non c’è bisogno di far fuori i pretendenti con la scusa degli indovinelli. In questo modo poi fai fatica a trovare qualcuno che ti aiuti a fare la Settimana Enigmistica, se ogni volta fai saltare qualche testa. Comunque Puccini era consapevole della difficoltà del pubblico di sopportare la sua opera, lui stesso esorta a non dormire, anche se la vedo dura. E l’aveva pure lasciata incompiuta, probabilmente per il senso di colpa. Che bisogno c’era di finirla?

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6 risposte a "Invito all’Opera"

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